L’Ordine vara un programma per cercare di disintossicare i tanti del personale sanitario che soffrono di forme di dipendenza.

Alcol, cocaina, smart drugs. Le droghe in ospedale circolano e i medici sono professionisti a rischio, più soggetti di altri a sviluppare una dipendenza, anche superlavoro e gioco d’azzardo. La stima è che potrebbero essere fra i 1000 e i 1500 i medici a Torino a dover affrontare il problema e far convivere – sempre in silenzio per i danni che questo potrebbe produrre nel rapporto con l’azienda e con i pazienti – la malattia con le esigenze di una professione che richiede massima resa.

Uno studio italiano (Dianova International) dice infatti che dipendenze o burn-out colpiscono oltre il 10 per cento dei medici, 43mila sanitari su un totale di 370mila. Studi ufficiali condotti in Spagna fanno stimare il fenomeno al 12 per cento.

Far finta che il problema non esista è un errore e l’Ordine dei medici di Torino non ha voluto nasconderlo sotto il tappeto. Per questo spinge sull’acceleratore. Il progetto è pronto e si chiama “Helper”, il primo in Italia, il secondo in Europa. Un programma terapeutico ambulatoriale, semiresidenziale e residenziale indirizzato non solo ai medici, ma a tutto il personale sanitario affetto da uso problematico di sostanze e dipendenza patologica, burn-out e disturbi del comportamento.

Guido Giustetto è il presidente dell’Ordine dei medici e spiega: «Se sono i medici ad essere dipendenti da droghe, alcol o psicofarmaci, o sono colpiti dalla sindrome del burn-out (esaurimento psico-fisico emozionale), per loro serve un percorso dedicato, con personale formato a trattare persone che per professione sono costantemente a contatto con persone malate: chirurghi sottoposti a maratone in sala operatoria, medici in servizio per dieci-dodici ore consecutive, oncologi in relazione costante con malati terminali». La nostra professione è «usurante», chiarisce Giustetto. Il quale adesso conta di poter chiudere le trattative per ottenere le risorse che servono: «Non serve molto per partire, esiste già la struttura che ha solo bisogno di arredi, una villa arrivata in donazione alla Città della Salute, che l’ha messa a disposizione per questo progetto».

La Regione collabora attivamente e ha di recente confermato un impegno assunto con una delibera del 2013 e al piano collaborano diverse realtà: l’Asl To2 sotto la consulenza di Augusto Consoli, direttore del dipartimento di salute mentale, la società cooperativa sociale centro torinese di solidarietà, il Cts presieduto da don Paolo Fini, il centro di formazione Schweitzer, l’Associazione per la difesa del medico (Adimed).

Tiziana Borsatti per l’Ordine dei medici sta seguendo il progetto. E’ lei a ricordare che gli studi sostengono che in media i medici hanno probabilità più che doppia di suicidarsi rispetto alle popolazione normale. «Le donne ancora di più, i suicidi nelle classe medica femminile sono in numero quattro volte superiori a quelli della popolazione normale». Per anni ha lavorato al San’Anna e alle Molinette come anestesista: «Mi è capitato che i colleghi mi abbiano chiamato per segnalare che un medico o un infermiere accusa dei problemi. Erano preoccupati: se un collega si addormenta sul posto di lavoro perchè assume troppe benzodiazepine, questo genera difficoltà a cascata per tutti».

Gaetano Manna è il funzionario dell’assessorato alla sanità che ha seguito il progetto e ha scritto un intervento su “TorinoMedica”, la rivista dell’Ordine: «Il Piemonte è l’unica Regione ad aver approvato un progetto specifico».

Fonti: Sara Strippoli – La Repubblica; Rassegna stampa vino, birra e altri alcolici del 2.11.15